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CENNI DI FILOSOFIA DELLO SPORT

Autore: prof. Danilo Ramirez

Alcune definizioni di filosofia ci aiuteranno a capire quale può essere il collegamento tra la ricerca teorica astratta e la manifestazione puramente fisica del corpo.
Dewey dice che la filosofia è l’esercizio del “metodo dell’intelligenza” o anche “la ricerca dei valori che possono essere assicurati e condivisi da tutti”, Herbart la definisce come “elaborazione dei concetti” che ha il compito di mettere ordine e connessione tra i concetti e le idee fondamentali delle scienze.
Più ampiamente possiamo argomentare che la filosofia è lo studio, l’analisi del significato della vita. Per raggiungere il suo scopo essa abbraccia e si connette con tutti gli aspetti della conoscenza umana, dalla politica alle scienze, all’arte, alla religione; a volte è una derivazione di questi aspetti come ad esempio il positivismo derivato dalla fiducia negli sviluppi scientifici durante il secolo diciannovesimo, altre volte ha essa stessa condizionato gli avvenimenti storici, basti pensare alle teorie di Marx, e pur avendo seguito una evoluzione particolare che ne ha addirittura cambiato i motivi di base  ( dalla ricerca sulle origini dell’esistenza da parte dei primi filosofi greci all’analisi dei metodi di utilizzo dell’intelligenza) la filosofia ha sempre mantenuto questa sua caratteristica di scienza della vita e dell’intelligenza.
Non sarà un caso se sia lo sport che la filosofia hanno visto la loro nascita dalla stessa cultura, quella della Grecia antica nella quale lo sviluppo dell’uomo doveva considerare alla pari importanza il corpo e la mente.
Lo sport è linguaggio ed espressione universale, come tale addirittura in vantaggio di fronte a quelle espressioni umane che possiamo chiamare elettive, identificabili con l’arte, la religione e la scienza.  Scienza e religione devono passare attraverso il linguaggio, l’arte anche e solo musica e arti figurative possono essere comprese senza mediazione linguistica. Proprio come lo sport  che si basa sui concetti universali di spazio e tempo.
Si possono accettare le teorie di Descartes secondo cui gli elementi costitutivi della natura dei corpi sono l’estensione (intesa come quantità di materia e spazio che essa occupa) e il movimento, oppure si possono considerare spazio e tempo come “forme a priori” della conoscenza sensibile come diceva Kant, possiamo infine considerare questi aspetti come soggettivi, ma ciò che ci interessa è che essi sono insiti nella natura dell’uomo stesso. Qualsiasi disciplina sportiva comporta l’utilizzo di uno spazio e il rispetto di determinati tempi e non dovendo essere mediata dal linguaggio è comprensibile alla semplice osservazione. Non solo può essere compresa da tutti ma può anche essere praticata da tutti, atleti di tutto il mondo possono confrontarsi in una disciplina sportiva e capire perfettamente cosa stanno facendo: confrontarsi con una persona della quale non comprendi la lingua è un aspetto straordinario dello sport e sicuramente è anche uno dei motivi della grande popolarità di questa attività umana.
In fondo lo sport porta ad una conoscenza e ad una interpretazione della realtà umana nella misura in cui mette a confronto l’istinto e la razionalità, lo spirito e la materia.
Lo sport è arte nel momento in cui viene eseguito ai massimi livelli, è scienza quando l’atleta raggiunge determinati risultati, il soggetto è sempre e solo l’uomo stesso.
Per dirla con i sofisti: (nello sport) l’uomo è la misura di tutte le cose.  Ed infatti nello sport l’uomo si misura: si misura con altri per verificare chi è più bravo ma soprattutto è misurato durante le competizioni perché qualsiasi competizione è una serie di misure o di risultati dai quali scaturisce una classifica.
Nello sport la misura degli uomini è inappellabile, è oggettiva perché deriva dall’applicazione di regole; chiunque può affermare di essere più bravo di un altro, la competizione ufficiale non sarà un confronto di parole, ma sarà una prova nella quale le capacità saranno verificate da una giuria e registrate su un verbale ma soprattutto saranno pubbliche ed evidenti.
L’interpretazione della vita può essere pessimistica come quella di Schopenauer che considera l’uomo uno strumento della volontà universale e vede l’esistenza come un misto di noia e dolore, oppure ottimistica come quella di Leibniz per il quale il mondo creato da Dio è il migliore dei mondi possibili, sotto entrambe queste ottiche ed anche in tutte le loro sfumature che esse comportano, lo sport è uno strumento nelle mani dell’uomo per liberarsi dalla condizione di schiavitù (Schopenauer identifica questa possibilità nell’esperienza estetica), oppure vivere ancora meglio nel secondo caso.
Possiamo dire infine che l’uomo fa sport proprio con le stesse motivazioni per cui crea arte, studia le scienze e crede in una religione, cioè per esplorare se stesso e dare una motivazione alla propria esistenza.
Etica dello sport
L’etica è quel ramo della filosofia che analizza le relazioni tra i singoli atti della nostra volontà e quella degli altri, oppure possiamo considerarla la scienza di ciò che è da scegliere e ciò che è da fuggire. Più generalmente è la ricerca del Bene e del Male nella vita e nei rapporti tra gli uomini.
Tutti i filosofi hanno studiato a fondo questo problema che per la sua importanza è fondamentale nell’analisi dei significati dell’esistenza. Naturalmente diverse sono state le conclusioni, influenzate dalle tendenze personali e soprattutto dal momento sociale e politico in cui venivano formulate. Ad esempio Spinoza, autore di un casto trattato dal titolo “Ethica”, considerava l’uomo schiavo delle sue passioni fondamentali, la cupidità, il piacere e il dolore, e indicava tre gradini di vita morale per purificare l’uomo da queste passioni.
Per Spencer l’etica è l’ideale di un superamento dell’egoismo; per il Positivismo è fondata sul principio dell’altruismo, del vivere per gli altri, sviluppare l’impulso sociale dell’uomo; per Hegel il concetto del bene è l’intenzione soggettiva nel suo innalzarsi ad un contenuto universale insomma possiamo considerare che nell’etica ciò che viene ricercato è il concetto di bene e la ricerca della felicità, dell’utilità sociale  e quindi possiamo considerare la definizione di Shaftesbury del “senso morale” come sentimento in cui si conciliano la felicità per sé e la simpatia per gli altri in un’identità di virtù, interesse e felicità.
In base a queste definizioni lo sport rappresenta uno dei momenti più alti dell’espressione etica nell’esistenza umana. La pratica sportiva permette davvero il raggiungimento della felicità e non solo per gli atleti, moderni eroi mitologici, ma anche per tutti coloro che assistono alle loro imprese.
L’atleta incarna al massimo livello il concetto di virtù, egli è perfetto sotto l’aspetto fisico e sotto quello morale.
L’utilità sociale è quindi una conseguenza logica della pratica sportiva e non per niente lo sport è considerato da tutti i tipi di organizzazione politica un deterrente allo sviluppo della delinquenza. Nel fare sport l’uomo agisce in base ad alcune sue esigenze primarie (istinti, passioni) e utilizza le sue capacità motorie insieme al suo intelletto per raggiungere i risultati migliori che può ottenere.
Pensiamo ora alle opere di alcuni filosofi, “Repubblica” di Platone, “La città del Sole” di Tommaso Campanella, “Utopia” di Tommaso Moro; sono tutte descrizioni di città o nazioni immaginarie in cui gli autori indicano una vita che dovrebbe essere giusta, semplice, bella per tutti, senza guerre, omicidi o accidenti.
Lo sport rappresenta per l’uomo attuale la realizzazione di queste utopie.
Nel momento in cui l’uomo fa sport, o assiste ad un evento agonistico, egli dimentica i malanni che affiggono la sua vita e quella degli altri, sa anche che le regole sono uguali per tutti e che tutti cercheranno di seguirle, questo gli provoca gioia e serenità. E’ la caratteristica morale che sta alla base della grande importanza che lo sport ha raggiunto nella società moderna.
Infine possiamo dire che l’interpretazione della morale nella pratica sportiva raggiunge davvero l’utopia ma proprio per questo motivo essa è un grande esempio per come dovrebbe essere il comportamento umano nella vita reale.
Pensiamo per un attimo ad una partita di qualsiasi gioco di squadra.
I giocatori in campo si muovono secondo regole che ben conoscono e che accettano di applicare nel momento stesso in cui hanno iniziato a giocare. Anche nella vita comune esistono le leggi ma molto spesso esse vengono accettate malvolentieri e sono considerate come delle limitazioni, nello sport le regole non sono in discussione, la loro accezione è tacita e nessuno si sognerebbe di litigare con un arbitro perché vuole la rete più bassa nella pallavolo o vuole correre 90 metri invece di cento.
E’ vero che anche nello sport si tenta di “rubare” sui secondi o sui metri, di fare goal con la mano, si contesta l’arbitro, oppure che l’interpretazione della giuria, nelle specialità in cui essa formula un giudizio che è il risultato della competizione è contestabile se non a volte addirittura tendenziosa ma nell’intenzione ideale di sport quando l’atleta scende in campo non si sogna di contestare il giudizio dell’arbitro o l’abilità del suo avversario perché queste componenti fanno parte integrante dell’attività che ha scelto di fare.
Se l’avversario è più forte ci si deve inchinare alla sua capacità (nelle gare uno solo vince), se l’arbitro sbaglia non lo ha fatto appositamente, il suo errore è umano e fa comunque parte del gioco. Sotto questo aspetto si può affermare che lo sport ha un’etica diversa da quella della vita comune: durante la partita il giocatore si ferma al fischio dell’arbitro, magari non è d’accordo ma si ferma, nella vita normale l’uomo non sempre si ferma e spesso compie il suo dovere non certo con la stessa passione con cui corre, salta e gioca. Lo sport nasce come naturale confronto dell’uomo con i suoi simili, la vittoria o la sconfitta fanno parte del gioco nel momento in cui si accetta di farne parte; l’attenzione dei mass media e l’interesse economico hanno modificato l’importanza dello sport nella società contemporanea ma i principi etici restano quelli con i quali lo sport moderno è stato ideato durante la rivoluzione industriale, oltre due secoli fa.
Estetica dello sport
L’estetica è il ramo della filosofia che si occupa del concetto di bellezza ed è quasi sempre riferito all’arte. Nel corso dei secoli i filosofi hanno espresso le loro interpretazioni, possiamo vederne alcune.
Per Herbart bello è ciò che piace o dispiace spontaneamente e quindi non viene identificato né con l’utile né col gradevole; Hume dice invece che il gusto estetico non è arbitrario, pur se soggettivo, ma poggia su un senso comune ed è dall’esperienza dei sentimenti dell’uomo che si può ricavare un criterio di gusto.
Diderot, filosofo dell’illuminismo, ribadisce il carattere intellettuale e non sentimentale del giudizio estetico, fondato sui rapporti reali tra le cose e quindi avvertito dall’intelletto mediante i sensi; nell’estetica trascendentale (Kant), la conoscenza sensibile è fondata sull’autonomia e specificità del senso rispetto all’intelletto.
Analizzando altre definizioni possiamo concludere che la definizione di bello porterà sempre a un dualismo tra mente e corpo, tra ragione e passione, tra sentimento (istinto) e intelletto che a seconda del momento storico e delle correnti di pensiero vede prevalere l’uno o l’altro di questi aspetti.
Mente e corpo sono intimamente uniti nella pratica sportiva, nessuno dei due può prevalere ed è dal connubio di entrambi che derivano le diverse discipline, allora cosa è bello nello sport?
La risposta è semplice: nello sport è bello il gesto, l’esecuzione del movimento.
Dobbiamo tuttavia considerare due categorie ben distinte di attività sportive sotto questo aspetto: nella prima categoria si trovano gli sport nei quali il risultato stesso della competizione è determinato dal giudizio sull’esecuzione. Questo avviene in tutte quelle discipline nelle quali una giuria valuta con una votazione la prestazione dell’atleta. Nella seconda categoria il risultato è determinato dal confronto diretto, dal tempo o dallo spazio, ma non da qualcuno che giudica direttamente la correttezza o meno dell’esecuzione.
Nel primo caso i criteri estetici sono codificati da precisi regolamenti che i giudici applicano secondo il loro modo di intendere le suddette regole. In questo tipo di sport possiamo intravedere una bellezza codificata, il gesto è bello se corrisponde al modo in cui l’atleta deve eseguirlo e soprattutto in base a come le regole stabiliscono che è bello.
E’ interessante notare come il gusto estetico di queste discipline cambi e sia cambiato nel corso degli anni a seguito del variare dei criteri valutativi, all’affinamento delle tecniche di allenamento, alle influenze motorie esterne che possono arrivare ad esempio da nuovi gesti coreografici, persino dall’abbigliamento sportivo che si è evoluto moltissimo a seguito della ricerca tecnologica ed in parte anche della moda.
Pensiamo ad esempio al primo dieci nella ginnastica artistica, ottenuto dalla rumena Nadia Comaneci durante le Olimpiadi di Montreal 1976. E’ sicuramente un ottimo esercizio ma dopo molti anni appare anche relativamente semplice, la disciplina ha cambiato le sue richieste tecnico-estetiche e persino l’attrezzo è cambiato perché le parallele asimmetriche non sono più quelle di allora. Sotto questo aspetto gli sport che prevedono prestazioni con misure sono avvantaggiate: il salto di Bob Beamon a Città del Messico (metri 8,90 con cui stabilì il record del mondo di salto in lungo) resta e resterà nella storia dell’atletica come un gesto straordinario anche se eseguito ben otto anni prima dell’esercizio della Comaneci.
L’estetica del gesto è secondaria negli sport di misura e confronto, qui ciò che conta è il risultato anche se bisogna dire che i migliori atleti si indirizzano verso esecuzioni standardizzate in quanto sono quelle che permettono il raggiungimento delle migliori performance.
In ogni caso ogni atleta interpreta il gesto secondo le sue caratteristiche anatomiche e dinamiche, anche in una gara semplice come i 100 metri possiamo vedere diversi stili di corsa ed ecco quindi che lo spettatore, così come l’allenatore, può giudicare il gesto secondo un suo personale criterio di gusto fermo restando che chi arriva primo ottiene la prestazione migliore e spesso il suo gesto fa scuola nella teoria di quella disciplina.
Ciò che resta interessante è il modo in cui l’atleta usa il suo corpo per ottenere il risultato che si prefigge, in questa situazione noi possiamo fare un interessante parallelo: nel creare arte l’uomo usa determinati attrezzi e materiali attraverso i quali esprime se stesso, ciò che vede e sente. Mentre fa sport l’uomo ottiene esattamente la stessa cosa: esprime se stesso attraverso un gesto motorio, invece di strumenti e attrezzi adopera il suo stesso corpo.  Quel gesto non va mediato con la cultura come si deve fare con un’opera d’arte ed ecco quindi un’altra motivazione alla grande popolarità dello sport la cui espressione estetica è di immediata e facile comprensione.
C’è infine un ultimo aspetto da considerare per quanto riguarda l’estetica dello sport ed è quello riferito alla perfezione del corpo dell’atleta. Il mito della bellezza identificato fin dall’antichità nelle proporzioni del discobolo, una delle statue più note al mondo (foto, orginale scolpito dal greco Mirone nella metà del V secolo A.C. ed oggi conosciuto attraverso copie realizzate in marmo nell’epoca romana).
Mai come nella società moderna si è mirato sempre più a idealizzare la bellezza fisica come simbolo di giovinezza perpetua. Attorno a questo obiettivo si sviluppa ogni giorno un impressionante movimento commerciale costituito da centri estetici, medicinali miracolosi, palestre, negozi, il tutto incoraggiato da riviste, TV e cinema che bombardano il pubblico con le immagini di corpi perfetti.
Inutile dire che la vera perfezione del corpo consiste nell’essere in buona salute e in equilibrio con se stessi. Non si può modificare ciò che ci hanno trasmesso i nostri genitori attraverso i loro cromosomi, si deve invece vivere serenamente nel proprio corpo, accettarlo e soprattutto rispettarlo. Ogni eccesso è dannoso: fumare, bere alcolici, cibarsi troppo o troppo poco può procurare danni al nostro organismo e così anche un eccesso di attività motoria, magari con sovraccarico in età evolutiva, può portare a successive patologie strutturali.
Lo sport è importante per aiutarci a crescere bene e a mantenere uno stato di forma ottimale in età adulta, innumerevoli sono i benefici dell’attività motoria, dimostrati in altra parte di questo testo e anche da autorevoli studi. La pratica motoria, agonistica e non agisce sicuramente sull’aspetto fisico migliorandolo ma questo non deve essere l’obiettivo primario della scelta di dedicare una parte del proprio tempo al movimento, questa scelta deve essere dettata da una convinzione interiore e dal desiderio/consapevolezza di voler fare del bene alla propria persona.
Origine del fair play
Abbiamo già accennato al fair play perché questo principio è strettamente collegato alla nascita dello sport moderno ed ai concetti filosofici che ad esso si connettono; potremmo anzi dire che lo sport moderno nasce nell’ideale del fair play.
Quando Thomas Arnold fu nominato rettore del collegio di Rugby trovò che l’ambiente  era in  grande decadenza morale. Violenza, nessun rispetto per sentimenti corretti, i rapporti tra gli studenti erano regolati da sopraffazione e tirannia, mancava una guida e un esempio. Arnold assegnò allo sport il compito fondamentale di formare carattere e personalità degli allievi, lì invitò a organizzarsi in associazioni che gestivano loro stessi, mise ordine nelle regole dei giochi che già esistevano.
L’obiettivo da raggiungere era lo sviluppo di giovani sani e leali: una società onesta e intraprendente avrebbe formato una nazione sana e civile.
Possiamo quasi affermare che lo sport moderno nasce prima con una spinta morale che con un motivo di confronto ed affermazione agonistica: l’attività sportiva è una attività educativa, aiuta il giovane all’autocontrollo, al rispetto di sé e degli altri e in definitiva al senso civico.
Le regole del fair play non sono scritte, fanno parte di quel bagaglio etico che l’atleta porta con sé quando scende in campo.
Alcuni comportamenti che vediamo ancora oggi durante le manifestazioni sportive sono l’eredità delle primitive usanze del fair play.
Nel tennis la stretta di mano alla fine della partita, sia all’avversario che all’arbitro (è una forma di ringraziamento per avere avuto la possibilità di giocare) nel rugby la squadra vincente batte le mani alla perdente (non certo per scherno ma per rispetto), nella pallavolo il tocco di mano sotto rete tra tutti i giocatori delle squadre, nel basket il giocatore che ha commesso il fallo alza la mano (e deve farlo da regolamento) in segno di autoaccusa, addirittura il cricket, gioco estremamente anglosassone, non prevede espulsioni od ammonizioni, il regolamento di questo gioco (estremo esempio di applicazione del fair play) non considera neppure possibile che vengano commesse infrazioni così gravi da meritare una sanzione punitiva.
Ogni sport ha i suoi regolamenti e questi determinano lo svolgimento degli incontri ma il concetto di fair play è la filosofia che sta alla base di ogni impegno agonistico.
Il rispetto dell’avversario.
Se tu avversario non fossi su questo campo, adesso, io non potrei praticare il mio sport preferito. Per questo motivo ti rispetto durante la gara e ti ringrazio al termine di essa. Se io ti ingannassi durante il nostro confronto otterrei solo il risultato di avere fatto un danno a me stesso.
Stesso discorso per l’arbitro.
Il nostro sport comporta il rispetto e l’applicazione di un regolamento. La presenza dell’arbitro garantisce la correttezza del nostro gioco secondo le regole che tutti abbiamo accettato. Quindi anche l’arbitro fa parte del gioco, ne è un elemento al pari del nostro stato di forma, delle condizioni atmosferiche, del nostro stato di forma e di quello dell’avversario.
Sono molti i fattori che determineranno il risultato della nostra gara e non potremo controllarli tutti, ci sarà però un elemento che dipenderà totalmente da noi: il nostro impegno nel rendere al massimo delle nostre possibilità.
Che cosa è rimasto nello sport contemporaneo dei principi originali del fair play?
Se ne parla molto: vengono istituiti premi e sono enfatizzati i comportamenti di atleti meritevoli ma bisogna capire fin dove questo tipo di comportamento è moda piuttosto che scelta interiore di chi compete.
Non devo rispettare le regole perché c’è l’altra squadra, l’arbitro, il pubblico. Non devo fare finta di aiutare l’avversario perché la televisione mi filma e poi tutti mi faranno i complimenti. Il primo rispetto è verso me stesso: se sono stato onesto continuo la gara a testa alta, se ho cercato di fregarli il mio non è più sport, sono fuori dal gioco, devo girarmi e uscire. Posso averlo fatto nell’impeto del momento, allora mi fermo, ammetto il mio fallo e chiedo scusa a tutti perché li ho ingannati.
Sono indicazioni estreme, difficili da accettare, ma appartengono ai principi base della lealtà sportiva.
Facciamo un esempio pratico e ben noto: nel gioco del calcio tutti sanno che toccare la palla con la mano è un fallo, se poi questo fallo porta addirittura ad un goal appare logico chiedersi per quale motivo possa essere esaltata una azione che non è regolare (il riferimento è al goal realizzato da Maradona nei mondiali del 1986).
Nel principio del fair play un simile comportamento è inconcepibile ma l’influenza di mass media, pubblico, interessi economici lo rende addirittura oggetto di ammirazione, ecco allora che in questo caso lo sport moderno calpesta i principi con i quali è stato concepito. Principi, beninteso, che sono ancora più che validi.
E’ capitato a tutti di trovarsi con degli amici per giocare insieme su un campetto. Non ci sono arbitri, eppure si può giocare per ore applicando regole che tutti conoscono, può accadere di discutere però poi si giunge ad un accordo e sicuramente ci si diverte.
Tutto questo è possibile grazie alle regole non scritte del fair play, quel principio secolare che consente di praticare una attività motoria insieme ad altre persone in maniera serena e gioiosa.

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